

Fiabe poesie miti

La favola di Pinocchio, scritta da Carlo Collodi e pubblicata per la prima volta nel 1883, è conosciuta dappertutto e il libro è stato tradotto in 240 lingue. Secondo Vittorino Andreoli ci si trova di fronte a un bivio: fare di Pinocchio il capolavoro di un museo delle fiabe o invece riraccontarlo per mantenerlo al passo con la pedagogia moderna.
Oggi non si crede più nella teoria del bambino come “sacco vuoto” da riempire, ma semmai c’è la convinzione che fin dalla nascita il bambino “contenga” un’energia che lo guida non solo alla sopravvivenza, ma proprio alla vita di relazione avendo già una “disposizione” ad attivare legami familiari e sociali. E questo è in sintonia con l’inizio della storia di Collodi: c’è un pezzo di legno che ha però un’energia, che salta, che ha già la potenzialità della vita. Fin dalle prime pagine della storia, secondo l’Autore, ciò che muove Pinocchio è il desiderio, in primis quello di diventare un bambino. Così il naso di Pinocchio nella sua rivisitazione si allunga non perché il burattino mente ma perché esprime desideri. L’altra grande risorsa di Pinocchio è la sua affettività: Pinocchio compie errori, ma resta un buono, è generoso, ricerca la relazione e l’amicizia e diventa un bambino straordinario perché è mosso dall’affetto per il suo “babbino” e per la Fatina. Così, per valorizzare questo aspetto, Andreoli omette i carabinieri che inseguono il povero burattino, lo mettono in prigione e lo fanno rincorrere da cani famelici, altrimenti a furia di sentirsi cattivo Pinocchio potrebbe convincersi di esserlo davvero. Ritocca anche altri personaggi pur mantenendo un rispetto profondo per il testo originale: ad es. Geppetto e Mastro Ciliegia non litigano (per non dare il brutto esempio) ma si bevono insieme un buon vinello; La Fata Turchina diventa una mamma, che interviene quando non c’è più niente da fare; il Grillo-parlante, che l’autore considera un odioso e insopportabile sputasentenze moralista che vede il male ovunque, viene omesso e anche Lucignolo viene ridimensionato perché è una figura triste. Il gatto e la volpe invece rimangono uguali, perché sono personaggi sempre “di moda” che raccontano cose non vere per derubare il prossimo.
Andreoli invita tutti i nonni e i genitori a leggere questa fiaba ai più piccoli per esplorare la dimensione del desiderio evolutivo, ritenendo che saper “ascoltare il cuore dei piccoli” è il modo migliore per educarli.
Questa lettura è stata come un tuffo nella mia infanzia, in quella dei miei nipoti e in quella di mio figlio. Mi è piaciuta la rivisitazione della favola fatta dall’autore e se dovessi raccontarla oggi lo farei con questo restyling. Ho trovato divertenti i dialoghi immaginari tra Andreoli e Collodi e commoventi i discorsi rivolti direttamente ai bambini. Certa che piacerà anche a voi. BUONA LETTURA. I.P.